Odnośniki


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virtù, come superiore alla sua, era a Carlo odiosa. Sicché
non abbandona Gano, se non quando il pericolo da
quello ordito gli pone avanti la necessità di quegli eroi
che poi di nuovo nella calma odia e disprezza. Sinché
poi per tradimento del suo caro Gano vede le sue genti
rotte in Roncisvalle, e con la maggior parte dei campioni
ancor Orlando uscito di vita, e  l suo imperio condotto
all estremo.
Si potrebbe per la grazia del suo dire perdonare a sì
bell umore volentieri ogni scempio ch egli fa delle opere
e personaggi grandi, se si fusse contentato di volgere in
derisione i fatti umani, e non avesse ardito di stendere
l empio suo scherno anche alle cose divine, delle quali
così sagrilegamente si abusa, che invece di riso muove
indignazione ed orrore, innestando di passo in passo i
sentimenti più salutari della sagra Scrittura ed i precetti
e dogmi più gravi di morale e di teologia cristiana a pro-
fani, vili e bassi esempi, e collocandoli in quelle parti ove
possono servire agli scelerati di ludibrio e di pericolo ai
semplici, che con quella lettura potrebbero, senza accor-
gersene, avvezzarsi a perder la stima, e colla stima la cre-
denza ancora, delle cose più sante e più vere. Onde non
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posso persuadermi che in tal opera mai avesse potuto
aver parte, come alcuni scrivono, Marsilio Ficino, il qua-
le come filosofo platonico, tirava alla venerazione dei
nostri misteri anche la forza della ragion naturale. Né i
sensi di teologia quivi profanati son sì riposti, che biso-
gnasse dalla profonda dottrina del Ficino andarli a rin-
tracciare. Consento sì bene che gran parte di quel poe-
ma debbasi ascrivere all aiuto del Poliziano, non solo
per quel che da Merlin Coccaio si trova scritto, ma da
quello ancora che dal medesimo Pulci per gratitudine
verso il suo maestro sì nel canto XXV come nell ultimo
vien palesato.
XX.
Delle Tragedie
Dai poeti epici e narrativi passeremo ai drammatici
ed operanti, cominciando dalle tragedie, nelle quali la
lingua italiana, siccome cede alla greca, a cui cedevano
anche i Latini, così vince ogni altro idioma vivente. Im-
perocché le nostre tragedie sono ad imitazion delle gre-
che inventate, ed espresse con simil simplicità di stile,
gravità di sentenze e movimento d affetti, o miserabili o
atroci, come nelle più principali si può riconoscere, le
quali al parer mio sono: la Sofonisba del Trissino, la Ca-
nace dello Speroni, la Rosmunda del Ruccellai, e tra
molte altre del Giraldi l Orbecche, la Tullia del Martelli,
il Torismondo del Tasso. Ma quantunque gli autori di
queste ed altre simili tragedie italiane abbiano raccolto
il lume, non da lingue incolte, come molti novelli tanto
nostrali quanto stranieri han fatto, ma dal greco cielo,
nulladimeno, perché la greca lingua, oltre le altre sue
felicità, poggia in alto con la semplice nientemeno che
con la traslata locuzione, non perdendo con la grandez-
za della frase e del numero parte alcuna del naturale,
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della qual facoltà non è tanto dotata l italiana favella,
tuttoché come rotonda e sonora sia molto più maestosa
che l altre figlie della latina, perciò non è maraviglia se i
nostri autori di tragedie a quella sublimità non perven-
nero, perché non potendo alzar lo stile se non con la
traslazione, se avessero questa sospinta oltre il pudor
della nostra lingua, invece d acquistar grandezza, per-
duto avrebbero del naturale: come è avvenuto ai tumidi
scrittori moderni, i quali per mancamento di tal cono-
scenza e di simil giudizio hanno avuto maggior ardi-
mento, e con la non prima udita insania del loro stile
caduti sono in quel vizio che quei saggi seppero sì bene
antivedere.
XXI.
Delle Commedie
Alla stessa norma dei Greci e Latini anche son com-
poste molte e molte commedie italiane, e sopra tutte
quelle dell Ariosto, più che l altre, dei plautini sali im-
bevute, e del Segretario fiorentino, di Partenio Etiro,
del Bibiena, del Trissino e del Cieco d Adria; per non
parlare del Cecchi, del Firenzuola, dello Stelluti, d Ot-
tavio d Isa, di Giovan Battista Porta e di altri illustri au-
tori, che hanno all italica scena trasportato il greco e la-
tino gusto, prima che il genio servile delle corti,
adulando le potenze straniere, obbliasse la gloria della
libertà natia, e riducesse la nostra nazione alla servile
imitazion di quelle genti, le quali ebber da noi la prima
luce dell umanità. Dal qual vile ossequio il nostro teatro
è divenuto campo di mostruosità: nel quale non han
luogo altre produzioni dell arte, se non quelle ove meno
si riconosce la natura.
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XXII.
Delle Egloghe ed opere pastorali
All opere dramatiche appartengono anche l egloghe
pastorali, delle quali celebratissime giustamente sono
quelle del Sannazaro nella sua Arcadia intrecciate. Que-
ste nel numero e nella locuzione serbano il candor del
costume pastorale, ad esempio di Teocrito e di Vergilio.
E benché per entro sparse vi siano delle gravi sentenze,
son però queste colorite in modo che dentro il volgo
paiono raccolte, e sotto simile semplicità la finezza è co-
perta di quegli affetti. Tralascio l egloghe ancor belle de-
gli altri autori, le quali a queste di vivezza e proprietà di
colori debbono cedere. Ma né questi, né il Sannazaro,
che in nostra lingua le dilatò, ardirono portare le rap-
presentazioni pastorali fuori della linea ove furon con-
dotte dai Greci e Latini; i quali non le distesero oltre un
semplice discorso tra pastori e gare tra loro nel verseg-
giare, considerando che tra le genti grossolane e rozze
non possono verisimilmente intervenire affari di lungo
trattato o di gran ravvolgimento, donde opere o comi-
che o tragiche nascessero.
Altri però dei nostri, quasi nell inventare più fertili di
coloro che tutto il meglio inventarono, han voluto avvi-
luppare nelle arti cittadine anche i geni pastorali e delle
azioni loro tessere ordigni da scene; il che con maggior
semplicità di tutti fece il Tasso nel suo Aminta, benché [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]
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